Quando i fondi scarseggiano, la cultura (le politiche per la cultura) soffrono.
Link
Tag Cloud
Quando i fondi scarseggiano, la cultura (le politiche per la cultura) soffrono.
La notizia è arrivata oggi nel primo pomeriggio. Jovan Divjak è finalmente libero. Lui, il traditore che, da ufficiale jugoslavo di famiglia serba, difese Sarajevo durante l’assedio.
Ebbene, a Sarajevo ha aperto il primo MacDonald’s. Alla presenza del presidente di Turno, Željko Komšić, e dell’ambasciatore americano. E con orde di bambini festanti a contorno del lieto evento. Il cevapparo piu’ businessman di Bosnia (il padrone di Mrkva) si presenta all’apertura portando in dono dei ćevapi ai nuovi vicini, ottenendo immediata copertura pubblicitaria gratuita su tutti i media di Bosnia. L’apertura del mitico Mc, tuttavia, presentava due grosse criticità.
Oggi due notizie.
Apre il primo McDonald’s di Bosnia. Un tocco di cultura pop occidentale nel cuore nostalgico di Sarajevo, a due passi dalla fiamma eterna e dalla sede storica dell’associazione culturale croata, in quel che resta della via dedicata al Maresciallo Tito.
(post pessimista)
La lunghissima crisi politica scoppiata in Bosnia dopo le elezioni del 3 ottobre scorso è, forse, finita.
Per mesi e mesi il parlamento non si è riunito, il governo non si è formato e nulla si è mosso. Da qualche tempo, invece, tutto si è rimesso in funzione e le istituzioni si stanno costituendo con una tempistica normale.
Quale fosse l’oggetto del contendere non è chiarissimo.
In Bosnia il ministro dell’educazione del Cantone Sarajevo, Suljagić, dispone che i voti di religione non vengano calcolati per la media finale. Una decisione che vorrebbe por fine ad una discriminazione tra alunni, dato che le ore di religione sono già giustamente facoltative e i voti ottenuti sono tendenzialmente molto alti.
Ma tutto questo per far vincere di nuovo la Moratti?
Come avevo scritto qui, c’era qualche segnale che la situazione fosse in movimento, per quanto sotterraneo. E così, a pochi giorni dalla visita della responsabile della politica estera dell’UE, alcune voci sparse hanno chiesto la convocazione del parlamento: parlamento che, ricordo, non si riuniva da dicembre e non aveva ancora nominato la presidenza, stante la difficoltà a trovare un accordo tra le parti.
A leggere Sarajevo, a Biography di Robert J. Donia sembra che scrivere della Bosnia sia la cosa più semplice del mondo. Il libro è bello, ricchissimo, ben scritto e, vero atout per un libro di storia, ben narrato. Il titolo è azzeccatissimo, e sottolinea come della città venga descritto l’aspetto evolutivo, i tratti distintivi che cambiano nel tempo, ma che in qualche misura rimangono. Significa anche descrivere le fattezze della città, e come esse ne riflettano l’anima più profonda.
Raccontare Sarajevo, tuttavia, significa delimitare il campo e dare necessariamente al racconto una prospettiva ben chiara.
E quindi Dodik ha vinto. O ha perso. O forse tutti e due.
Si sprecano i commenti: è un win-win game impostato da Dodik, è stato un atto disperato per respingere l’offensiva dell’SDS, si è piegato a Inzko, ha piegato l’UE. Chissà.
I fatti. Milorad Dodik è il capo assoluto di una metà della Bosnia (il 49% del territorio, per essere precisi), con circa un terzo della popolazione, molto a spanne.
Ha proposto e fatto approvare un referendum che mirava a cancellare, in modo piuttosto indiretto, un’istituzione statale: corte e magistratura inquirente. Mutatis mutandis, e premesso che c’è molto da mutare, un po’ come se Formigoni cercasse di cancellare –chessò– il garante per la privacy.